FANTARCHEOLOGIA

LE ANTICHE TECNOLOGIE 

GLI DEI DEL VOLO DELLE CIVILTA’ PRIMITIVE

Le miniature esposte al Museo dell’ Oro di Bogot

Le leggende intessute su divinità in grado di spostarsi rapidissimamente da un capo all’altro del globo sono innumerevoli. Ci conducono dalla Grecia, all’India, dall’Africa alla Nuova Guinea, dalla Mongolia, al Messico, al Canada. I tratti del viso sono quasi sempre umanoidi, a volte è come se si trasformassero in quelli di una testa d’uccello o la imitano decisamente. Le varie raffigurazioni hanno sempre, però, qualche elemento in comune. E questo lo si nota toccando le tradizioni al di fuori della sfera euroasiatica. Il “dio del vento, della tempesta e del mare”, proprio di numerose tribù della Costa d’Avorio, dell’Alto Volta e del Mali, chiamato con nomi differenti, è spesso rappresentato da una maschera di legno che ha ai lati sul capo i simboli del fulmine e del tuono: in alto le ali, in basso le pinne. In una schematizzazione diversa, la divinità corrispondente è raffigurata sui tamburi tartari e mongoli. Anche qui si ritrovano le ali e le pinne. Sui tamburi tartari il simbolo delle onde è quasi sempre presente, in entrambi si aggiungono segni solari e astrali, e nei tamburi mongoli vediamo persino ammassi di stelle. Le piccole sagome umane circondanti il personaggio principale sono di significato assai dubbio: leggende comuni ai due popoli parlano di uomini “trascinati” dal dio. Qualcuno vi vede un “dio” colonizzatore, un capo che trasporta i suoi seguaci attraverso lo spazio, alla ricerca di mondi sconosciuti? E c’è anche qualche ricercatore (come Alexander Kasantsev, per esempio) che vede il medesimo motivo – estremamente stilizzato – nei graffiti degli antichi messicani. Disegni che mostrano le stesse ali con delle specie di frange, simboli astrali analoghi e, talvolta, una “croce celeste” identica, che per gli abitanti dell’America precolombiana era usata per rappresentare “i quattro punti della Terra e dell’Universo.” Alcuni studiosi di frontiera sono inclini a sostenere un’ipotesi secondo cui simili testimonianze del passato rispecchierebbero il ricordo confuso sia di veicoli interplanetari sia dei loro occupanti, uniti in un’unica figura. Tale parere è stato espresso da un notissimo precursore dell’astronautica, e in effetti certe manifestazioni artistiche fanno davvero riflettere. Uno degli idoli principali del golfo di Huon, nell’est della Nuova Guinea (7.0°S 147.45°E.) mostra una testa cornuta – o alata, secondo altre interpretazioni – la quale potrebbe essere quella di un toro, di un uccello, di un mostro inidentificabile. Ma nell’interno del corpo racchiude un essere chiaramente umanoide. I tentativi di spiegarne il significato riferendosi a “una donna che partorisce” sono fuorvianti poichè le tradizioni al riguardo parlano in maniera inequivocabile di un “dio volante.” Sbalorditivo è il demone chiamato Skana – oppure Orka – degli indiani Haida delle isole della Regina Carlotta (Canada Occidentale 53°00′N 132°00′W), il cui compagno è il corvo, visto a volte come creatore, ma più frequentemente come inviato dell’essere supremo. In realtà, il termine corvo è nato da una deformazione del vocabolo originario, che vuol dire una sola cosa: uccello. Poichè gli Haida vivono da qualche secolo soprattutto di pesca, Skana è divenuto per loro l’ “uccisore di balene”. La figura in cui viene tuttora stilizzato ha di certo subito variazioni nel corso del tempo, ma i tratti essenziali sono restati. Essendo privi di modelli precedenti, non è facile interpretarla. Ad ogni modo notiamo come la parte anteriore rappresenti una testa mostruosa la quale si potrebbe anche ipotizzare come la schematizzazione del “muso” di una macchina volante. Il “getto” superiore può essere visto come quello di una balena, aggiunto in un periodo posteriore (ma pare fuori luogo definirlo così, dato che l’idolo stesso è considerato un cacciatore di cetacei!) ma per alcuni dettagli si fatica a dare loro una parvenza di identificazione: le due sporgenze in alto a forma di cilindro con le parti che proseguono dietro, la “coda” dai lineamenti antropomorfi, l’ “accessorio” centrale, l’essere che vi è come inserito dentro. E’ evidente che la rappresentazione ha davvero poco a che fare con un qualsiasi uccello, compreso il corvo. Non si vuole con questo pensare che si tratti proprio della raffigurazione deformata di un veicolo volante, ma alcuni scenziati eccentrici sono dell’idea di scorgervi qualcosa in comune col celeberrimo

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