UNIVERSO BUIO

VIAGGIO NELL’UNIVERSO

PERCHE’ L’UNIVERSO E’ BUIO NONOSTANTE CI SIANO MILIARDI DI STELLE

Quando osserviamo il cielo, di notte, la nostra attenzione è attratta dalle stelle, le gigantesche sfere di gas incandescente che popolano la nostra galassia e le altre galassie. Molto importante, invece, per la cosmologia, cioè per lo studio dell’universo come un tutto, è l’oscurità presente tra una stella e l’altra. Perché questa oscurità? La domanda è solo apparentemente banale, ed ha sollecitato riflessioni profonde sull’universo fin dall’antichità. Secondo Bruno, Keplero, Newton (solo per nominare alcuni grandi del passato che si sono posti il problema …) l’universo doveva essere infinitamente esteso, e popolato da stelle ovunque. Se questo è vero, quale che sia la direzione di osservazione, la nostra linea di vista dovrebbe prima o poi incontrare una stella. E quindi il cielo dovrebbe apparire luminoso, anche di notte.
Galileo Galilei, osservando per la prima volta la luminosità diffusa della Via Lattea con il telescopio, scoprì che era costituita da una miriade di stelle, talmente distanti, e quindi deboli, da non poter essere distinte a occhio nudo. Ma, tra una stella e l’altra, vide comunque oscurità. Oggi, nell’anno dell’astronomia, quattrocento anni dopo le prime osservazioni di Galileo, anche scrutando il cielo con i più potenti telescopi ottici troviamo comunque oscurità tra le stelle, e oscurità tra le galassie. Il paradosso quindi si ripropone anche se, modernamente, pensiamo che l’universo sia riempito di galassie: se le galassie riempiono ovunque l’universo, osservando in una direzione qualsiasi dovremmo incontrare prima o poi una galassia, e quindi vedere luce, non buio.

L’apparente paradosso dell’oscurità del cielo notturno (detto paradosso di Olbers) è stato risolto solo recentemente, tramite osservazioni dell’universo a lunghezze d’onda diverse da quelle visibili, e tramite la scoperta che l’universo si sta espandendo e si è evoluto, passando attraverso stati fisici molto diversi tra loro. L’espansione cioè il fatto che tutte le distanze tra le galassie aumentano col tempo è stata scoperta circa 80 anni fa, da Carl Wirtz in Austria e Edwin Hubble in California. L’espansione ha un effetto eclatante sulla luce che viaggia nell’universo: le sue lunghezze d’onda aumentano esattamente come tutte le altre lunghezze nell’universo. Luce che parte blu (una lunghezza d’onda di 0.4 milionesimi di metro) da una galassia distante, viaggia per un tempo abbastanza lungo nell’universo, che nel frattempo si è espanso, provocando l’allungamento delle lunghezze d’onda che la compongono. Tanto che quella luce può arrivare rossa a noi (lunghezza d’onda di 0.7 milionesimi di metro) o addirittura infrarossa (lunghezze d’onda maggiori di un milionesimo di metro) se la galassia è ancora più lontana, e quindi l’universo si espande di più durante il viaggio della luce. Ecco un primo motivo per cui non osserviamo sempre luce quando osserviamo lontano: la luce delle galassie più lontane viene spostata nell’infrarosso, al quale i nostri occhi non sono sensibili. Questo fenomeno è evidentissimo per la luce che proviene da tutte le galassie lontane (e ormai ne abbiamo catalogate milioni, con strumenti di ricezione opportuni come quelli della Sloan Digital Sky Survey).

Circa 50 anni fa George Gamov si rese conto delle implicazioni fisiche dell’espansione dell’universo: una espansione di un sistema isolato come l’universo è comporta sempre un raffreddamento. Quindi l’universo nel passato doveva essere più caldo di oggi.

Quando osserviamo una galassia lontana, la luce ha impiegato molto tempo ad arrivare fino a noi. Vediamo quindi la galassia come era quando la luce è partita, ovvero come era nel passato. Osservando sempre più lontano, vediamo come era fatto l’universo in un passato sempre più remoto, anche miliardi di anni fa. Così vediamo galassie sempre più antiche: le più lontane che riusciamo ad osservare, a circa 10 miliardi di anni luce di distanza, appaiono più piccole, più irregolari, più frammentate di quelle vicine. Forse stiamo vedendo le prime fasi del grande processo di formazione di queste gigantesche strutture cosmiche. Stiamo certamente facendo dell’archeologia dell’universo. Se osserviamo ancora più lontano, osserviamo un’epoca in cui l’universo era molto più caldo di oggi, e le galassie non potevano ancora esistere, non si erano ancora formate. Questo è un secondo fattore che spiega il paradosso di Olbers nel visibile.
Lo stato primordiale dell’universo, più caldo della superficie del sole, viene detto “primeval fireball”: la palla di fuoco primordiale, nella quale la temperatura era così alta che le particelle elementari non si potevano nemmeno unire a formare gli atomi. In questa fase primordiale l’universo non era trasparente alla luce, nello stesso modo in cui oggi non ci è possibile osservare l’interno del sole, o attraverso il sole. È quindi impossibile osservare ancora più lontano, e quindi ci è preclusa l’osservazione diretta dei primi istanti di evoluzione dell’universo. Ma possiamo vedere cosa accadde circa 14 miliardi di anni fa, quando l’universo si raffreddò per la prima volta alla temperatura di qualche migliaio di gradi (la temperatura della superficie del sole), diventando per la prima volta trasparente. Lo possiamo fare osservando la luce che si è liberata dalla “primeval fireball”, e ha viaggiato nell’universo per circa 14 miliardi di anni prima di arrivare fino a noi. Nel frattempo l’universo si è espanso circa 1000 volte, e quindi quella luce ci arriva come un fondo di microonde, con lunghezze d’onda di circa 1 mm. Particolari telescopi, sensibili alle microonde, come quello su pallone stratosferico BOOMERanG nel 1998, e successivamente il satellite della NASA WMAP, hanno permesso di realizzare delle immagini di questa radiazione, vere e proprie mappe in cui si vede l’universo primordiale apparire come un gas incandescente, molto simile alla superficie del sole. Quest’anno sarà lanciato il satellite Planck dell’Agenzia Spaziale Europea, che permetterà di ottenere mappe ancora più precise dell’universo primordiale. Le mappe saranno così precise che sarà possibile studiare fenomeni nascosti, come quelli di polarizzazione della radiazione primordiale, legati a quanto accadde all’inizio della espansione, pochi attimi dopo il Big Bang. A quell’epoca le energie delle particelle presenti nell’universo erano altissime, molto più alte di quelle che potremo mai realizzare nei nostri laboratori terrestri. Oppure per studiare la misteriosa Energia Oscura, che si crede responsabile della apparente accelerazione dell’espansione dell’universo. Così infatti si interpreta la scoperta (del 1998) di una sistematica debolezza delle esplosioni di stelle supernovae nelle galassie più lontane: si pensa che questo sia dovuto ad una successiva accelerazione dell’espansione dell’universo, che ha quindi aumentato la distanza effettiva di queste stelle. Ma materia e radiazione presenti nel cosmo tendono a decelerare l’espansione, a causa della loro gravità, e quindi ci deve essere qualche altro componente del cosmo per rendere conto dell’effetto osservato. Che sia l’energia del vuoto uno dei misteri ancora aperti della fisica delle particelle? Oppure dobbiamo pensare di vivere proprio al centro in una bolla di universo sottodensa, nella quale l’espansione dell’universo è più veloce? Le immagini cosmologiche diventano quindi un mezzo per studiare anche la fisica delle particelle elementari, in una sinergia di intenti che è l’unico modo efficace per studiare la Natura.

di Paolo De Bernardis
http://www.ilmessaggero.it/

OGGI L’UNIVERSO HA 13,7  MILIARDI DI ANNI

ED ANCHE SE PUO’ APPARIRE MOLTO TRANQUILLO  . . .Già C’era 14 Miliardi di anni fa …Partendo dal Nulla – NOI INTREPRETIAMO IL NULLA COME VUOTO …COLE VLò’ASSE4NZA DI QUALCOSA…E RICERCHIAMO UN TWERMINE DI PARAGONE RISPETTO AL QUALE VERIFICARBE LA VACUITA’. IL NULLA PRMORDIALE, INVECE, INVECE ESISTE IN UNA CODIZIONE A-TERMPORALE A-SPAZIALE – CHE TRASCENDE OGNI NOSTYRA LOGICA ED ALLORA OGGI …


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